Attacco di panico

ATTACCO DI PANICO


 Se ti capita una volta, non lo dimentichi mai più. E passi il resto della vita da sopravvissuto con il terrore di quel frullino che raschia via l’ aria dalla gola, e il cuore che schizza via per conto suo, e la certezza, l’ assoluta selvaggia certezza che – ora adesso subito – muori. Si chiama crisi di panico. Viene un giorno, di colpo.

Può restarti incollata addosso per tutta la vita. In Italia di questa malattia – che paga la beffa di essere stata considerata per anni un capriccio della mente, una bizzarra screziatura del carattere – soffrono poco meno di due milioni di persone: 1.740.000 uomini e donne finite in una angosciosa videocamera a circuito chiuso. Perchè – nessuno glielo toglie di testa – se è capitato capiterà ancora, e allora meglio difendersi, far diventare la casa una trincea nella quale nascondersi, barricarsi, ‘evitare’ la trappola del ‘fuori’ .

Di panico non si muore, no. Ma l’ ‘ansia anticipatoria’ , la paura della paura, possono anche uccidere.

Il profilo

la patologia si manifesta generalmente tra i 15 e i 35 anni e si sviluppa in prevalenza tra le donne (2,5 a 1), in soggetti coniugati e con scolarità media inferiore, in chi svolge un lavoro di livello medio e in chi proviene da ambiente urbano. Ancora più tipico delle donne è l’ attacco di panico con agorafobia (comunemente nota come paura dei luoghi affollati): qui la proporzione è di 4 a 1. “Gli attacchi di panico possono durare da uno a cinque minuti e la loro frequenza è del tutto soggettiva: possono capitare una volta sola in una settimana, come cinque in un solo giorno

E’ comunque un’ esperienza drammatica per chi la vive anche se, a differenza di alcuni anni fa quando l’ attacco di panico non veniva considerato una patologia a sè stante, oggi sappiamo che guarirne si può”. Èd è indispensabile il supporto di una psicoterapia.

CHARLES DARWIN, pochi oggi lo sospetterebbero, soffriva di veri e propri attacchi di panico. Il naturalista inglese, padre della teoria biologica secondo la quale l’ evoluzione di tutti gli esseri viventi avverrebbe sulla base della selezione naturale, era preda di questa patologia quando ancora (lo scienziato nato nel 1809 morì nel 1882) essa veniva inquadrata nei più generali disturbi di ansia.
ALESSANDRO MANZONI
 Sì anche lui – austero fondatore della teoria linguistica che propugnava l’ uso del fiorentino parlato dalle persone colte come lingua nazionale – soffriva di violente crisi di panico. Manzoni, nato nel 1785, morì nel 1873: ci sarebbero voluti altri cento anni (i nostri anni Sessanta) prima che a questa malattia venisse riconosciuta una propria autonoma identità.

Gli Attacchi di Panico sono manifestazioni di intensa paura o disagio che possono essere associati a diverse condizioni ansiose (frequentemente sono associati al disturbo di panico, ma non necessariamente solo al Disturbo di Panico).

Un attacco è episodico, nel senso di delimitato nel tempo: raggiunge rapidamente il picco di intensità massima e poi si riduce spontaneamente fino a scomparire.

Durante un Attacco di Panico si sperimentano alcuni (almeno quattro) tra i seguenti sintomi:

  • Palpitazioni
  • sudorazione
  • tremori
  • fame d’aria o respiro corto
  • dolore, pressione o pesantezza toracica
  • nausea o altri disturbi di tipo addominale
  • senso di vertigine, di instabilità o di debolezza nella gambe
  • derealizzazione o depersonalizzazione
  • paura di perdere il controllo o di impazzire
  • paura di morire o di avere un grave malore

Attacchi di panico trattamento: La psicoterapia Breve Strategica 

Analizzando il processo e le tipiche retroazioni relative all’emergere e al costituirsi del disturbo, sembra emergere che i gravi disturbi fobici siano apparsi e si siano gradualmente  complicati sulla base di dubbi e pensieri relativi al potersi sentire male. Ciò che determina la costituzione della forte sintomatologia fobica non è comunque l’evento iniziale, ma ciò che il soggetto mette in atto per evitare la paura, ossia le tentate soluzioni escogitate dalla persona nel tentativo di sfuggire allo scatenarsi delle reazioni emotive e somatiche proprie della paura. Questo induce al costituirsi della paura ad un livello superiore di gravità.

Nel caso in questione, una prima casuale esperienza reale o immaginaria inserisce nella mente del soggetto una nuova possibilità percettivo-reattiva: quella della paura. A partire da tale esperienza, tutto ciò che viene fatto in direzione di una difesa da questa spaventosa realtà, se non funziona, non fa altro che confermarla aggravandone gli effetti sino alla reazione di panico, in termini sia di generalizzazione della paura che di risposta psichica e comportamentale.

In particolare, sono state individuate tre tipiche tentate soluzioni messe in atto dai soggetti (Nardone, 1993, 2001): evitamento, richiesta d’aiuto e controllo.

L’effetto dell’evitamento, infatti, è quello di confermare la pericolosità della condizione evitata preparando, in tal modo, l’evitamento successivo.

Tutto ciò non ha come unico effetto quello di incrementare la paura confermandola, ma anche quello di rendere il soggetto sempre più scettico rispetto alle proprie risorse, aumentando così anche le proprie reazioni fobiche e rendendo il disturbo sempre piùimpedente e limitante.

Una volta innescato il circolo vizioso degli evitamenti, la persona utilizza spesso una seconda “strategia” che si rivela decisamente controproducente: la richiesta d’aiuto, ossia la tendenza ad essere sempre accompagnati e confortati da qualcuno che si presti ad intervenire in caso di crisi di panico e perdita di controllo.

L’effetto di tale richiesta è, inizialmente, quello di rassicurare la persona, ma gradualmente conduce all’aggravamento della paura e delle sue conseguenze limitanti. Difatti, proprio la possibilità di avere qualcuno pronto ad intervenire in aiuto conferma al soggetto la sua incapacità di affrontare da solo le situazioni temute e gestirne le conseguenze. Anche questo processo tende a generalizzarsi – funzionando come una vera e propria “profezia che si autodetermina” – fino a divenire un’assoluta necessità e porta la persona ad instaurare forme gravi di disturbo fobico basate sulla logica del “io dipendo” e non “io controllo”.

D’altra parte, proprio il controllo delle proprie reazioni, sia fisiologiche che comportamentali, può diventare il copione percettivo-reattivo ridondante e fallimentare che il soggetto mette in atto per affrontare la propria paura.

Ciò che accade in questo caso è infatti che, nel tentativo di mantenere un controllo delle proprie funzioni organiche e psichiche, il soggetto sperimenta una situazione paradossale: il focalizzare l’attenzione sulle proprie reazioni fisiologiche (battito cardiaco, ritmo respiratorio, equilibrio, ecc.) conduce alla inevitabile alterazione di almeno una di queste, provocando paura che a sua volta genera ulteriori alterazioni, innescando in questo modo il tipico circolo vizioso del “tentativo di controllo che fa perdere il controllo“.

 

Trattamento

 La psicoterapia Breve Strategica prevede un modello di terapia basato su protocolli specifici di intervento costruiti “ad hoc” per particolari patologie di problemi.

I disturbi fobici sono stati appunto, la prima categoria su cui sia stata applicata questa metodologia di ricerca articolata in tre fasi che ha portato  alla messa a punto di cinque protocolli specifici di terapia per le diverse varianti fobiche.

La prima ricerca pubblicata risale al 1988 (Nardone, 1995a) e mostra il 19.2% di casi risolti tra la 1° e la 10° seduta, il 61.5% tra la 10° e la 20°, il 3% tra la 20° e la 30° e il 15.3% tra la 30° e la 34°. Attualmente, l’efficacia del trattamento per ansia, fobie e attacchi di panico è pari al 95% (Watzlawick, Nardone, 1997; Nardone, Watzlawick, 2001) di casi risolti in una media di 7 sedute, in cui, per la maggior parte dei casi (l’ 81%), lo sblocco si è avuto entro le prime 5, con un 50% di casi in cui la scomparsa dei sintomi rilevanti è avvenuta dopo la prima seduta.

Per rompere il sistema percettivo-reattivo patogeno del panico il terapeuta ricorre a suggestivi stratagemmi, costruiti ad hoc, che portano la persona a fare concrete esperienze di superamento del problema senza che questi ne sia consapevole. La consapevolezza arriverà infatti ad esperienza fatta, quando il soggetto non potrà fare altro che prendere atto d’aver fatto esattamente ciò che aveva ritenuto impossibile fare fino a quel momento. La metodologia utilizzata in tale lavoro concorda con le idee lewiniane relative alla ricerca azione psicosociale, secondo la quale per conoscere il funzionamento di un qualsiasi sistema non si debba fare altro che introdurvi un cambiamento, studiare cioè un fenomeno (di qualunque natura esso sia) cambiandolo e vedendone gli effetti. In altre parole, si arriva a conoscere una realtà intervenendo su di essa.

Parallelamente, le nuove conoscenze emerse sulla base degli effetti degli interventi servono da guida per il progressivo aggiustamento dell’intervento stesso, determinandone una continua autocorrezione basata sull’interazione con il problema da risolvere.

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