Psicologia Militare: “Psicologia dell’uniforme”

PSICOLOGIA DELL’UNIFORME

Una delle strategie psicologiche più comuni per “dominare” senza colpo ferire è quella di esagerare, enfatizzare, quegli elementi del corpo e del portamento che hanno un significato diretto di superiorità. Persone alte, ad esempio, incutono più rispetto e soggezione di persone basse. Anche le spalle larghe, accompagnate da un girovita stretto, che attribuisce al busto un profilo a V, una muscolatura sviluppata, una voce bassa e profonda, un portamento eretto, con lo sguardo alto, e la visibilità nel gruppo sono fattori decisivi nel trasmettere dominanza. Le uniformi, specialmente quelle da cerimonia, presentano una serie di accorgimenti tesi ad enfatizzare proprio questi aspetti corporei.

Partiamo dall’altezza: l’uso di copricapi alti non ha solo la funzione di proteggere il militare dalle avversità atmosferiche, ma anche e soprattutto quella di aumentarne l’altezza percepita. Copricapi alti si trovano in eserciti appartenenti a culture molto distanti (si pensi ai capi indiani) e possono raggiungere altezze considerevoli, ad esempio come quelli di Figura 4. Possono essere di pelliccia, stoffa, metallo lucente, come nei corazzieri, e decorati con piume, come nel caso degli alpini e dei bersaglieri. Per quanto riguarda la larghezza delle spalle, notiamo l’uso di giubbe con spalline più o meno decorative ed evidenti, a seconda del grado. Nei casi più eclatanti, sono in metallo con frange, mentre a volte sono costituite da semplici imbottiture o risvolti di stoffa su cui sono appuntati i gradi sotto forma di galloni, barre, stellette, torri, greche. Tutto ciò favorisce l’impressione di spalle possenti e larghe e, come per il copricapo, il .loro uso è stato riscontrato in culture molto diverse fra loro.

Per favorire la forma a V, sopra la giubba c’è un cinturone, spesso di colore bianco, di stoffa o pelle, che stringe il girovita, e i bottoni metallici e lucenti della giubba sono disposti in modo divergente verso l’alto.

Per quanto riguarda la visibilità, si può notare nelle uniformi l’uso frequente di colori contrastanti, come il rosso della giubba ed il nero dei pantaloni delle guardie reali inglesi, l’uso della sciarpa azzurra degli ufficiali italiani, posta trasversalmente sul busto, l’adozione di bottoni in metallo lucente , l’uso di ghette bianche. La dominanza è anche trasmessa da un’elevata ornamentazione e ciò si traduce, nelle uniformi militari, nell’uso di mostrine e fregi, che identificano il corpo d’appartenenza, e di cordoni, cordelline, placche, pendagli, dragoni, ed anche nell’adozione di armi bianche come lo spadino o la sciabola, nel caso di ufficiali e sottufficiali. L’abbigliamento con grosse giubbe, cinturoni e copricapi pesanti contribuisce, tra l’altro , a rendere i movimenti più rigidi e per questo più marziali.

Naturalmente, queste esigenze divengono opposte nelle uniformi da combattimento cui prevalgono questioni di praticità, mimetismo, leggerezza 

“1 bottoni della giacca non procedono parallelamente, ma sono più vicini al livello dei fianchi e divergono progressivamente fino al livello delle spalle, aumentando la percezione di busto a V con spalle larghe.”

La sensazione di perdita dell’appartenenza ad un gruppo in grado di aiutare e proteggere si configura quindi

come un fattore cruciale. Ciò risulta confermato anche dal fatto che in unità altamente coese le vittime da stress risultano fortemente ridotte rispetto ad unità formate da uomini non ben affiatati.

Anche per questo oggi si fa sempre in modo che l’unità minima ad essere spostata non sia mai il singolo militare, ma il gruppo (la squadra o il plotone), in modo da non spezzare i legami interpersonali.

Non è detto, infatti, che un soldato che ha eccellenti prestazioni operando con certi commilitoni sia

tale anche con altri.

Marco Costa è Ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia

dell’Università di Bologna e Docente di Psicologia generale presso l’Accademia Militare di Modena. Può essere contattato all’indirizzo: costa@psibo.unibo.it

 

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